N.16 Il primo anno di un nuovo mondo
2020 – AI GIOVANI: IL PRIMO ANNO DI UN NUOVO MONDO
Tutti sanno, o meglio credono di sapere quello che è giusto o non è giusto.
Un giovane, invece, “deve” impararlo.
La verità, negli adulti, è che giudicare gli altri permette di giustificare se stessi.
Ipotizzando infatti la negatività o il fallimento altrui, disconoscendo la speranza e svilendo una utopia, si giustifica di fatto la propria condizione, quella che si difende ma che si getterebbe al vento se si potesse avere davvero l’occasione di migliorarla. Come dire “si predica bene e si razzola male” ma si dovrebbe prima capirlo ed invece l’assuefazione al proprio stato rende chiusi ed ottusi nella rigidità delle proprie convinzioni.
Ecco la differenza nei giovani: vanno allo sbaraglio. Ma non avere invece nessuna meta prefissa non significa essere inconcludenti o incapaci ma significa vivere il mondo come una avventura. Resta una incognita, sì ma intanto sarebbe una ricerca non programmata da altri, come una nuova musica che ti emoziona, una scoperta continua, un bagno costante nella sensibilità del reale che non é solo quello che sembra ci sia dovuto o sia necessario ma é sopratutto conoscenza, conoscenza che ti arricchisce nel affrontare sensazioni, così come nell’amore così come nel dolore.
Che augurare dunque? Non solo un nuovo tempo, ma il primo tempo di un lungo cambiamento del mondo di ognuno e che duri tutti gli anni possibili nel rispetto della reciprocità, là dove nulla limiti la liberta individuale ma dove nessun individuo imponga o anteponga egoisticamente la propria libertà a quella degli altri. L’ossimoro da raggiungere é: condivisione assoluta della differenza. E, per ora, nella distanza. Distanza obbligata per vivere.
La capacità di percepire come valore aggiunto il pensiero altrui, difendendone e garantendone l’espressione, pur affermando il proprio dissenso. Convivere é difficile ma é qui che dobbiamo impegnarci: trasmettere coraggio e volontà nel fare, indipendentemente dalla convenienza del risultato. Per questo vanno cercate le anime, tutte, intese come individuazione degli spazi di corrispondenza, delle volontà coesistenti di esistere e non come funzioni della proprie ambizioni, necessarie sì, ma in logiche collettive di gioia di tutti, senza esclusioni.
Come fare? Non ho un metodo ma posso suggerire gli strumenti. Autonomia mentale e spontaneità, questi forse i primi e più opportuni che non andrebbero rinnegati mai. E belle parole e buona musica, intorno, sempre. Una forte autonomia mentale nella comprensione (pensieri e persone non devono essere convincenti ma appartenere ad un processo di comprensione che parta dalla conoscenza di una origine assoluta, il che comporta continuo approfondimento) ed una spontaneità dell’azione (pensieri e parole che non vanno generalizzati ma tradotte nella lealtà dei propri comportamenti, nessuno escluso, il che comporta una assoluta concentrazione.)
La spontaneità, forse il dono più bello che ha l’essere umano, bisogna saperla ben curare con la reciprocità che é la sintesi della nostra esistenza. Oggi consiste nella distanza, magari un domani in una nuova vicinanza.
Non tutti ci riusciranno. Alcuni sono già consapevolmente attori di un testo classico predisposto dalla vita sociale; resta comunque già una recita impegnativa di un ruolo assegnato da vivere giorno per giorno per sempre, allora meglio farlo con la coscienza della propria condizione pur se non si crede di essere in grado di cambiare.
Altri sono strattonati tra le due condizioni: attori di un mondo già precostituito o di un mondo da costruire? Vivendo così piccole e grandi angosce esistenziali quotidiane senza soluzione in attesa che siano gli eventi, la sorte ed un vaccino a decidere per loro, costoro dovranno solo ricordare di tentare di esserne comunque sempre protagonisti e non comparse.
Altri ancora intendono “vivere il sogno”, senza condizionamenti di sorta, ma sono privi della capacità di comprensione della sua incomprensibilità. Non é un gioco di parole ma é questa la vera difficoltà che impone l’obbligo della domanda continua a riguardo e quindi della individuazione degli interlocutori giusti a cui chiedere il suo significato. Riscopriamo i vecchi libri, ci sono tutte le risposte.
In conclusione mi sento di fare una ultima considerazione che ritengo importante.
Noi esseri umani siamo destinati tutti comunque a dividerci, a perderci nel tempo. E non crediate che il problema della perdita di una persona cara è solo dei vivi che restano a rimpiangere chi non c’è più. E’ anche di chi sa che non ci sarà più. Di chi cioè ha la sensibilità di rimpiangere “in vita” coloro che lui stesso, sapendo comunque di dover un giorno andar via, non vedrà più. Bene, questo è amore.
E allora, cosa può rendere felici persino generazioni diverse che si incrociano se non le cose fatte l’uno per l’altro e con passione, pur senza un fine che appaia logico, economico e pratico? Cosa se non un tempo comune vissuto solo in modo intensamente unito pur se costretti alla distanza?
E cosa c’è di più sacro ed inebriante della magia di uno “spettacolo d’arte” che si compie, che accade?
Essere, diversi nel tempo, ma insieme nonostante la distanza in questo particolare momento e non necessariamente nel ricordo, ecco quale potrebbe essere la nuova motivazione.
Questo è il principio della “contemporaneità nell’esistente”.
Questo è amore. Che lo abbia generato Dio o il Caos non ha nessuna importanza.
L’importante è che ci sia.
Chi invece, quando proverete a spiegare che fate o magari leggendo ciò che qui ho scritto, continuerà a non capire, giudicherà ed anzi farà di tutto per opporsi alla vostra futura identità, ebbene costui, autorevole o familiare che sia, è senza amore e quindi, pur dichiarandosi al vostro fianco per avervi accanto, non ci sarà mai davvero nella vostra vita. Date distanza alla distanza e andategli oltre. Il tempo ve ne sarà grato.
PATRIZIO RANIERI CIU © FABBRICA WOJTYLA 2020 #onemore
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