N.09 La lezione

N.09 La lezione

LA LEZIONE

La lezione l’abbiamo avuta ma non è certo che ci sia servita.

Il livello di presenzialismo degli uomini che sono destinati a impartirla ne è la evidente controprova. Il Covid 19 é stata una Pearl Harbour a cui abbiamo risposto in Italia con le pentole dai balconi, certe trasmissioni televisive, le tempistiche comunicative della Presidenza del Consiglio, l’ora pro nobis del leader della destra che sogna poteri alla Orban e la faccia da bambolotto di un inappropriato ministro degli esteri mentre il mondo di fronte a questo diluvio universale risponde con la mascherina di Xi Ping, la prosopopea di Trump, la positività al virus di Boris Jonhson, il silenzio di Putin, l’inadeguatezza della Von der Leyen, le gaffes della Lagarde ed il video propaganda dei medici di Rama. 

Intanto si muore drammaticamente, immolando medici e infermieri alla causa.   

La grande lezione della morte in atto ha due sole versioni:

  • per chi è credente la grande lezione della morte è il monito senza più sconti di un Dio dei popoli stanco della infima qualità raggiunta dall’umanità, suo principale investimento nell’universo, ormai chiaramente colpevole di aver trasgredito agli ideali di una etica e di una morale che, non Dio, ma la stessa umanità nell’ intero corso della propria esistenza era comunque riuscita a individuare per poi finire come adesso. 
  • per chi non è credente la grande lezione della morte è invece il risultato dell’abbandono degli equilibri raggiunti con la Natura da parte di una umanità lanciata nella sfrenata corsa al consumismo, al superfluo, all’accaparramento, al denaro, prevaricandosi gli uni con agli altri.  In parole povere l’assalto alla funzione del senso del Potere, cancellando la memoria etica, promuovendo una leggerezza senza scopi che certifica l’infima qualità culturale raggiunta: aver trasgredito agli ideali di una etica e di una morale che, non Dio, ma la stessa Umanità nell’intero corso della propria esistenza era comunque riuscita a individuare per poi finire come adesso.  

Appare palese che qualunque sia la prospettiva, la lettura conclusiva resta sempre la stessa. 

Perchè, se è vero che ogni generazione di ogni era ha le sue colpe, quest’ultima nostra – che avrebbe potuto e dovuto fare il salto di qualità demolendo definitivamente i residui di intolleranza, di razzismo e di immoralità – ha di fatto delegato al principio economico imperante ogni funzione vitale della propria ragion d’essere, scivolando in una deriva tale da vedere un minuscolo bacillo sconosciuto frantumare in meno di 30 giorni l’intero castello di carta edificato dall’opulenta civiltà dall’effimero effetto globalizzante di benessere.

Resta la certezza che il mondo sarà sempre di chi lo domina. Adesso è un dato di fatto ancor più concreto. Si piangeranno i defunti, si brinderà allo scampato pericolo e si continuerà nel delirio di onnipotenza che aumenterà le discriminazioni e le speculazioni. 

Questo il quadro. 

Ma la critica senza controproposta è comoda. Quindi è necessaria la versione di Lolek. 

Magari utopie ma quale circostanza migliore? Il problema economico? 100 giorni di azzeramento di costi e profitti in tutto il mondo, d’obbligo determinato da una cosa che si chiama ONU che diversamente non avrebbe ragion d’essere. Poi il mondo invece avrebbe bisogno di uno stravolgimento esponenziale di semplificazione, un codice assoluto basato su poche e sostanziali regole comuni. 

Intanto regole comuni di qualità culturali che corrispondano a processi logici intelligenti basati su principi intellettuali assoluti di competenza, lealtà, rispetto e libertà che si traducano in una unica grande azione che curi senza profitti i deboli, tuteli senza condizioni l’infanzia, garantisca la parità assoluta dei generi, disponga comportamenti essenziali nell’equilibrio delle risorse naturali e promuova una distribuzione equa nella reciprocità di valori nei rapporti e nelle relazioni tra esseri umani. 

Lo scopo è raggiungibile solo se questa unica azione sia rivoluzionaria nell’intento, tendendo ad affermare il principio essenziale dell’esistenza: il valore di ogni singola vita corrisponde all’unico senso che essa ha: deve valer davvero la pena di essere vissuta. 

Basterebbe premettere come codice a monte la condanna di ogni principio di appartenenza a qualsiasi categoria mentre ognuno dovrebbe, non obbedire ma comprendere basilari principi di convivenza come individuare come dato principale di una propria occupazione nella società la “passione” per uno specifico lavoro come dimostrano in una circostanza così drammatica non solo i medici ma gli infermieri, i lavoratori ecologici, le commesse dei supermercati e forze dell’ordine.   
Mentre – e l’ho scritto in tempi non sospetti ne “La nonna e la luna“ – l’ambizione, individuale ed ancor più collettiva, pur desiderio lecito e possibile, dovrebbe trovar comunque un limite, un tetto massimo di patrimonio sia individuale che collettivo che permetta pari dignità tra un calciatore, un cantante, un giudice, un medico, un poliziotto, un giornalista, un camionista, un panettiere …una  lista lunga lunga … dove ognuno fa bene ad aggiungere anche se stesso.

La lezione che sarebbe da imparare è che nulla deve essere comprato mentre tutto deve essere realizzato. 

Ma al contrario la tendenza sarà  mantenere le distanze coltivando le differenze: e visto che ci siamo, magari mettendo in petto una stella gialla per i contagiati, una rossa per i guariti, una blu per gli asintomatici ed una nera per gli anziani, i predestinati. Quella tutta bianca per le categorie di  responsabili: i politici e i “commentatori” della Repubblica, pappa e ciccia con i giornalisti dalla licenza di circolare e far circolare cose pur senza saperle o peggio ancora capirle. 

La sola cosa da mettere al petto di qualcuno idealmente è una medaglia d’oro per tutti coloro che non ci sono più, in particolare quei medici scomparsi in prima linea per aver avuto fiducia in un sistema che, con o senza volontà, comunque li ha traditi.   

La lezione servirà solo a chi non saprà più che farsene della lezione stessa, questo scrivo mentre alla TV nazionale per tirar su il morale a chi nelle case è prigioniero di se stesso fanno cantare dalle loro dimore dorate i “grandi artisti italiani” togliendo anche quel po’ di visibilità a giovani “strimpellatori” chiusi nel “basso” di quattro metri quadrati di una periferia di una città nella grande Nazione svilita dalla sua peggior gente che l’ha martoriata.    

Che altro dire allora se non: “ma sì, canta che ti passa” ? 

PATRIZIO RANIERI CIU © FABBRICAWOJTYLA 2020 

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