
L’UOMO DELL’OSPEDALE
(a Carlo Molino)
Nel camice bianco
curi una violenza
che non ha estremi.
Curi la carne
e involontariamente
agiti la mente di chi soffre.
Lui,
stremato dal dolore
tu,
stremato dall’assurdità
che ti trapassa gli occhi
nell’azione ricorrente:
provare a salvare la gente.
Di fronte
occhi impietriti,
occhi silenziosi che gridano muti
il perché,
come un soldato colpito a morte
dalla antica baionetta,
come un bambino ferito
dalla stupida scheggia
e come questo vecchio
che ora hai là davanti,
dolente nel terrore,
senza respiro,
contratto nel rantolo
dalla scaltra molecola mortale.
Quante volte quante
il gesto è verso te
come tu fossi… luce.
Quante volte quante
il grido soffocato
urla verso te
come se tu…fossi Dio.
Quante volte quante
vieni maledetto
perché unica forma vivente
accanto al derelitto
che anela vita o chiede pace.
Tu salvi gente,
e non conta cosa pensa
e non sai che cosa dice
il moribondo in quell’istante.
Nulla c’è nella solitudine
a ognuno resa comune
dall’orrido male.
Mai come mai
sono i tuoi occhi,
unici ad incrociare
lo sguardo vuoto della Morte
che solo a volte,
con un beffardo inchino al tuo operare,
si volta
e lascia stare la preda
che a te si tiene stretta.
Così l’umano spirito
s’abbandona in te…
perché sei l’altro uomo
che libera dal male:
l’uomo… dell’Ospedale.
Patrizio Ranieri Ciu © Monodialoghi II 2020
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