N.35 Figli di nessuno

FIGLI DI NESSUNO (BLOWIN IN THE WIND) 

Una volta c’erano uomini che si dedicavano alla politica con coscienza, con un principio di devozione alla tutela ed al benessere dei cittadini di un luogo, di una città, di una nazione. Erano uomini che abbracciavano idee naturali di unità, di eguaglianza e di libertà nate sull’onda di una rivoluzione che sconvolse tutto il mondo gettando le basi di quegli ideali per i quali tanti hanno combattuto ogni volta che singoli esseri umani per volontà o ignoranza, forti di un consenso conquistato a furia di illusioni e parole o cavalcando l’onda umorale del momento, hanno pensato di predisporre le cose per tutti gli altri. 
Purtroppo quegli uomini capaci persino di immolarsi per un principio reale oggi sono definitivamente scomparsi lasciando il posto a dei ciarlatani della parola, dei funamboli dell’iperbole, dei cantastorie di un futuro che resta sempre tale, inarrivabile.  
Ecco la attuale classe dirigente, se così si vuol definire questa accozzaglia di buffoni senza vergogna capaci di negare ogni evidenza, complice una informazione connivente e una giustizia bloccata o talmente lenta che ognuno può impunemente permettersi tutto ed il contrario di tutto. 
Amministratori evidentemente incapaci per natura, nemmeno pratici quando, corrotti ed interessati, avrebbero comunque potuto agire nell’interesse del proprio territorio. Le collusioni, le lobby e i legami di appartenenze cucite a filo doppio da gare assolutamente sempre pilotate e assegnazioni di comodo impediscono ai cosiddetti politici di turno di ottemperare al mandato rappresentativo che avrebbero ricevuto. Loro rappresentano interessi che sfruttano il bene comune, per cui i veri bisogni della gente sono inesistenti.
Questo è il potere ed è istituzionalizzato, cioè ha la facoltà di decidere per cosa e come spendere il denaro degli altri, il denaro pubblico. 
Qui nasce spontaneo il dubbio: sono coscienti o è l’occasione che fa l’uomo ladro? 
La risposta è la continuità che spesso è l’ereditarietà, cioè il passaggio di testimone da padre in figlio, da padrino ad adepto, che fa pensare ad una coscienza della convenienza che spiega feudi di interessi, tradotti in sistemi che mirano a tenere le situazioni statiche e conniventi.
Così il mondo, stereotipato e monotono, scivola sul bagnato. 
E qual è il primo concetto che garantisce la staticità dei comportamenti se non la mancanza di cultura? 
Si badi bene, non quella dei ministeri, non quella dei biglietti o delle attrazioni turistiche, quella fa parte del bilancio di entrate ed uscite, di quella ne abbiamo ad oltranza. Qui si parla dell’evoluzione culturale di ogni singolo essere umano, legata alla sua capacità di connettere, di interpretare, di agire con cognizione di causa, nella lealtà, nella reciprocità. Qui si parla della crescita formativa di ogni singolo essere umano che gli permetta di uscire dall’inviluppo di appartenenza alla massa, una massa sempre più condizionata da interessi di parte che hanno incanalato le genti in comportamenti di fatto mai autentici ma assolutamente indotti, che hanno ricondotto l’intero pianeta ad una alterazione senza precedenti da un punto di vista morale, civile ed ambientale.  
Interessi sempre più di parte che hanno determinato il crollo di valori assoluti e di conseguenza il via libera per la classe dirigente di gestire il potere con il benestare stesso delle masse che si accontentano di sopravvivere nell’ignoranza culturale garantendosi scorpacciate ai centri commerciali, informazioni distorte e tendenziose, il tutto inframmezzato da visite tutto compreso a San Giovanni Rotondo o ai Musei Vaticani. Cultura come passività. 
Qui si parla di necessità di una cultura attiva, capace di creare indotto e continuità per far crescere l’uomo, la sua identità e di valorizzarne la creatività, la personalità. Come? 
Facendo crescere l’individuo e con lui la sua comunità, l’intera sua città come principio, trasformarla in un cantiere di speranze vive, tagliando i ponti con le vecchie formule del “guarda il futuro” al quale è necessario contrapporre un categorico “miglioriamo il presente”. 
Il futuro, come slogan, è trito e ritrito. Ha già dato.
Il futuro, di cui tutti si riempiono la bocca, noi lo abbiamo ormai tutto ipotecato. 
Il futuro, che abbiamo dequalificato, altro non è che quei giovani che stanno a guardare, disinteressati, svuotati perché non hanno alcunché da sognare. 
I nostri giovani sono stati traditi, sono stati mutilati nel pensiero, nella ambizione, nel sogno ad occhi aperti che si realizza. 
Quei valori assoluti, quei principi liberali che vedevano sfilare John Lennon con il pugno chiuso tra la gente, sono stati massacrati da uomini che si dichiarano di sinistra ma che, senza spina dorsale, capaci solo di saltare di qua e di là secondo dove tira il vento del denaro pubblico, li hanno dequalificati. Quegli stessi principi liberali che, salvati dalla cancrena del fascismo, hanno creato una delle costituzioni più organiche del mondo, sono stati svenduti da uomini che si dichiarano di destra ma che usano il territorio come feudi da chiudere nel solo interesse del feudatario e di altri come terreni di conquista.  
Così i nostri giovani sono figli di nessuno. 
Nessun partito, nessun ideale, nessun principio che sia saldo e sicuro per affrontare un avvenire che una volta era un sogno da sognare nella realtà mentre ora è diventato l’incubo dal quale fuggire nell’orrido qualunque del quotidiano che lascia loro solo il vuoto delle aggregazioni futili serali. 
Cosa li aspetta nessuno lo sa: la sola cosa certa è che non hanno voce, non hanno mani, non hanno opportunità. 
Quelli che ci provano vengono inghiottiti dal sistema, quelli che ci riescono lo fanno in Paesi più progrediti del nostro, tutti gli altri si accontentano del reddito di cittadinanza che li abitua a non concepire il senso del lavoro come missione gratificante.
Ecco perché questi nostri giovani sono i figli di nessuno. 
E i loro padri e madri, i loro insegnanti, i politici che li rappresentano nei comuni e nel parlamento potrebbero finalmente capire perché. Basterà loro guardarsi allo specchio.
Perché, guardandosi allo specchio, non vedono più niente, nemmeno l’ombra di se stessi. 
Sono nessuno. 

PATRIZIO RANIERI CIU © FABBRICAWOJTYLA 2021 

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